Villa Sibi

Sorpasso

(da Il Sorpasso, periodico politico-culturale-sportivo di Montesilvano, a. 3, n. 12, Dicembre 2017)

Alzi la mano chi ha sentito parlare di Villa Sibi. Attualmente una frazione con questo nome non è segnata neanche sulle mappe Google, anche se compare ancora sulle vecchie carte dell’istituto geografico militare, a designare un abitato sparso nel comune di Moscufo, a nord-ovest di Caprara. La cosa non stupirebbe necessariamente – dopotutto i nomi delle contrade contrade rurali cambiano con i decenni, gli abitati sorgono, vengono assorbiti da centri più grandi o, spopolati, scompaiono – se non fosse che Villa Sibi, fino a duecento anni fa, formava addirittura un comune autonomo (o, meglio, un’Università, come si diceva all’epoca).

Scorrendo la storia amministrativa dell’allora provincia di Teramo o Abruzzo Ultra I, la nostra Villa Sibi (o Sibii) compare alla fine del Settecento nella come villaggio di 40 anime sotto l’amministrazione dei baroni Figliola di Moscufo. Risalendo indietro nel tempo, la troviamo fra le università, separatamente da Moscufo e da Caprara, in tutte le tassazioni effettuate periodicamente nel Regno, almeno a partire da quella del 1561, dove appare come villaggio composto da 7 famiglie. Un’informazione chiave contenuta in questo documento è che le famiglie suddette vengono tassate separatamente in quanto ‘Schiavoni’.

Come abbiamo visto a proposito di Cappelle  (il Sorpasso, novembre 2016), Schiavoni erano chiamate le popolazioni cristiane insediatesi nel Regno tra il XV e il XVI secolo, in seguito all’occupazione delle loro terre da parte dei Turchi. A queste popolazioni furono assegnati feudi ormai disabitati affinché li ripopolassero, tanto che diversi odierni paesi del circondairo hanno origini schiavone, o furono ripopolati da Schiavoni: Villa Propositi o Fallita (Castilenti, TE), Villa Bozza (Montefino, TE), Villa Cipressi (Città S. Angelo), Picciano, Villa Caprara (Spoltore) e perfino Villa Castellammare, cioè la parte di Pescara a nord del fiume. In tutti questi casi, i nuovi coloni continuarono ad utilizzare il nome della località preesistente.

Nel caso di Villa Sibi, però, il nome dell’antico feudo disabitato, forse Cappelle superiore, fu dimenticato e sostituito da uno nuovo di zecca. Per capire l’origine di questo toponimo, possiamo osservare che nel ‘600, negli inventari dell’abbazia di San Giovanni in Venere proprietaria dei luoghi, il paese era chiamato Villa di Scipio. E’ in questa forma che va analizzato il nome originario della contrada, del quale Sibi o Sibii non sarebbe che una sorta di dotta latinizzazione.

Osservando che cognomi come Di Sipio o Di Scipio hanno la loro diffusione massima in Abruzzo e – almeno Di Sipio – proprio nelle zone caratterizzate da colonizzazione schiavona come l’ortonese, possiamo ipotizzare, anche se solo come ipotesi di lavoro, che S(c)ipio fosse il cognome o soprannome di una famiglia di immigrati schiavoni, che sarebbe stato poi usato per designare la località di insediamento.

Foneticamente, Scipio richiama immediatamente Shqip, il nome con cui gli albanesi di oggi chiamano sé stessi. In effetti, gli schiavoni erano di etnia slava o albanese: mentre gli slavi sono attestati nell’ortonese e nel lancianese (in paesi dove ancora nel Sette-Ottocento si parlava slavo), la colonia di Badessa (Rosciano, PE) è un esempio di insediamento albanese, quantunque tardivo (1743-44).

Certo, il nome Shqip come etnico è relativamente recente presso gli stessi albanesi, che hanno cominciato ad usarlo solo nel Seicento. Prima chiamavano sé stessi presumibilmente arbëreshë, ed è questo l’etnico ritenuto dagli albanesi migrati in Italia. Ma forse Shqip era già usato come soprannome (‘aquila’), che è anche una delle motivazioni proposte per il suo uso come nome etnico. Magari un soprannome dato dagli Schiavoni slavi a qualcuno dei loro di origine albanese?

Antonio Sciarretta