Tempa Rossa

Tempa-Rossa-660x429Un toponimo di attualità in questo aprile 2016 è Tempa Rossa, località nell’agro di Corleto Perticara (Potenza), nota per il giacimento petrolifero gestito da una società francese che ne riprende il nome. La località in sé non è che un pendio, esposto a sud-ovest, sotto la collina dove si trovava il centro medievale di Perticara, scomparso da tempo.

L’appellativo tempa è molto diffuso in toponomastica come nome comune in una vasta area che comprende la Basilicata, il Cilento e talvolta le Murge pugliesi. Denota pendii, colline, dirupi. Si tratta, insomma, di un “oronimo”, un nome descrittivo della natura del paesaggio. La sua variante timpa è pure molto diffusa, anche se il suo aerale sembra essere più meridionale, comprendendo, oltre alla Basilicata, la Calabria e la Sicilia.

Questa voce tempa/timpa è comunemente ritenuta di origine prelatina. In passato una certa corrente “sostratista” della glottologia italiana ha voluto qualificarla di “mediterranea”, derivante, cioè, da una sconosciuta lingua non appartenente al ceppo indo-europeo e, anzi, precedente al presunto arrivo degli Indo-europei nel bacino mediterraneo. Ho trovato ancora questa etimologia in opere di un certa autorità degli anni 2000.

Esiste tuttavia una possibilità molto meno fantasiosa, anche se ugualmente affascinante. Occorre partire dal fatto che la grafia corrente tempa/timpa non è che un adattamento in italiano (per iper-correttismo, direbbero i glottologi) della voce che in loco sarà verosimilmente pronunciata tembë, temba. Come già osservato da vari studiosi, temba può essere un’evoluzione di *tebba, con la trasformazione della geminata BB in MB, fenomeno non raro specialmente nel Meridione.

Questo *tebba è stato accostato a toponimi prelatini come il siciliano Tabas (vic. Leonforte, EN), il campano Taburnus m. (monte Taburno, Benevento) ma anche all’antico vocabolo sabino teba ‘collina’. Non si tratta, però, di nomi “mediterranei”, ma di vocaboli con una buona etimologia indo-europea. Dobbiamo andare alla radice *(s)tebh- ‘colonna, supporto’ che ha generato tanti appellativi oronimici nelle lingue indo-europee come come l’antico-prussiano stabis ‘pietra’ o l’antico-islandese stopull ‘torre’. La S tra parentesi nella radice indica che questa consonante iniziale era mobile, che potè cioè cadere in alcune delle lingue discendenti. Cosa che avvenne evidentemente in alcune lingue italiane.

Ma quali? Nelle lingue cosiddette “italiche”, cioè il raggruppamento osco-umbro che in epoca storica occupava gran parte dell’Italia centro-meridionale, la BH del proto-indo-europeo si tramutò in F. Dalla stessa radice abbiamo così avuto il calabrese tifa ‘zolla’ e l’antico oronimo Tifata m. (monte Tifata, Caserta). Prima dell’espansione delle lingue italiche, però, ampie zone del Meridione erano abitate da popoli dello stesso ceppo dei Latini, che parlavano lingue imparentate con l’osco-umbro, ma nelle quali la BH originaria divenne B. Ottimi indiziati per il nostro caso, dunque. Agli Opici della Campania, uno di questi popoli “italico-occidentali”, dobbiamo ad esempio Taburnus m., ma anche il nome di Stabiae (vic. Castellammare di Stabia, Napoli), mentre Tabas va ascritto agli italico-occidentali Siculi.

E le nostre timpe? Tutto lascia supporre che gli italico-occidentali che occupavano Cilento e Basilicata prima dell’espansione dei Lucani (i quali parlavano un dialetto osco) fossero i misteriosi Ausoni. Nel mio libro Toponomastica d’Italia ho cercato di mettere insieme in un quadro organico le varie leggende che circolavano tra i Greci d’Italia e poi i Romani a proposito di questo popolo. Probabilmente si trattava di un contingente di quei Siculi che migrarono dal Lazio alla fine del XIV sec. a.C. in seguito alla pressione di Pelasgi ed Aborigeni (proto-Sabini) e si insediarono lungo le coste tirreniche e nell’entroterra fino alla Sicilia. Allora dobbiamo forse proprio a questi remoti Ausoni il toponimo Tempa Rossa.